Era una di quelle sere di mezza estate in cui aspetti la notte per respirare un po’ d’aria fresca. E quel giorno aveva fatto davvero molto caldo.
Mi ero incontrato a cena con alcuni vecchi amici e dopo i saluti di commiato decisi di andare a casa seguendo un percorso alternativo. Più lungo, ma anche più tranquillo. Fuori dai percorsi turistici, sempre affollati persino a quell’ora di notte. E mentre camminavo tranquillo mi sentii addosso una speciale serenità. Forse data dal fatto che non avevo con me il telefono. O che non avevo orario di rientro e null’altro da fare se non godermi quell’accenno di fresco della sera.
“Una bella serata, ogni tanto ci vuole” mi dissi, ripercorrendo col pensiero i momenti appena trascorsi.
Cercai di prolungare quella particolare sensazione di benessere datami dal buon vino e dall’aver incontrato vecchi amici che non vedevo da anni passando per il porto. La brezza leggera si infilava con un sibilo fra gli alberi e il sartiame delle barche ormeggiate nella dàrsena; il dondolio e lo sbatacchiare continuo dell’una contro l’altra, completavano quella musica singolare. Per un attimo mi sembrò di riconoscervi il motivo di un vecchio pezzo jazz e mi fermai per ascoltare meglio cercando di ricordare il titolo e l’autore, ma il mio sguardo fu attratto da una macchia scura in movimento.
In quel momento mi trovavo all’altezza del mercato del pesce e a quell’ora era chiuso, eppure ero sicuro di aver visto l’ombra di un uomo.
Mi avvicinai furtivo, cercando di non far rumore ed entrai sotto la grande tettoia che protegge l’ingresso. La luce dei lampioni ci arrivava a fatica e non vedevo molto bene. Strizzai gli occhi sforzandomi di vedere qualcosa e…
«Oh! Cosa vuoi qua ? Aria! Questa è zona mia. Cercati una altro posto se vuoi dormire…»
Quella voce mi raggelò il sangue, era roca e sgradevole, ma non capivo da dove provenisse. Non vedevo nessuno.
Mi feci coraggio ed avanzai in una zona nascosta scavallando un angolo dell’edificio che porta sul retro, ritrovandomi dove si effettua il carico e lo scarico del pescato. In una nicchia c’erano alcune cassette di polistirolo che si usano per metterci dentro i pesci. Erano coperte da un po’ di fogli di cartone ed ecco che lì sopra vidi la sagoma inconfondibile di un uomo.
Dimostrava una settantina d’anni ma poteva averne anche solo cinquanta. Era sudicio e stracciato e i suoi occhi bianchissimi mi apparvero come due fanali, mostrandomi uno sguardo ancora fiero. I denti facevano capolino tra la barba incolta ed il faccione scuro era arso dal sole e da chissà cos’altro.
«Non mi hai sentito ? Ho detto che devi smammare!» Mi apostrofo’ nuovamente.
«Ciao! – gli risposi, cercando di essere amichevole – Scusami, non sapevo che c’eri tu qui, cercavo solo un posto tranquillo per fumare uno dei miei sigari, ma non fa niente. Ora vado via – lo tranquillizzai – Tieni! Fumali tu. A me non piacciono i cubani» Conclusi, sperando di conquistarne la fiducia.
Estrassi dallo zainetto i sigari ancora confezionati. Me li aveva portati in regalo un conoscente proprio quella sera, senza sapere che non fumo.
«Aspetta dai, non andare… – bofonchiò imbarazzato – pensavo volessi prendermi il posto, vieni ! Lo fumiamo insieme»
Prima di allora non ne avevo mai messo in bocca uno, ma osservai lui replicando tutto ciò che gli vidi fare. L’uomo invece con disinvoltura prese a parlare e a fumare, a fumare e a parlare, e i suoi occhi a poco a poco cominciarono a brillare, come se la vita stesse riprendendo a fluire dentro di lui.
Mi raccontò molte cose e rimasi rapito e affascinato da tanta esperienza di vita. Dalle parole traspariva una grande serenità e mi arrivava tutta. Rimasi in sua compagnia per alcune ore, ma non volevo che le prime luci dell’alba mi cogliessero ancora in strada. Alla fine gli regalai la scatola dei sigari e lo salutai.
Feci solo pochi passi prima di sentirmi chiamare ancora «Oh!…»
Quando mi voltai, vidi che mi veniva incontro con una piccola fiaschetta di vetro.
«Tienila e ogni volta che fumerai qualcuno dei tuoi sigari bevi un sorso di questo rhum alla mia salute» Mi disse.
Ne fui talmente commosso che lo abbracciai, poi mi incamminai in silenzio con il suo odore acre addosso e l’umore che mi era sprofondato al di sotto delle scarpe.
Durante il breve tragitto fino a casa ripensai a lui e a quell’incontro, mettendo a confronto il suo comportamento col mio. E provai una grande vergogna.
Per evitare noie gli avevo offerto dei sigari che per me non avevano nessun valore, tranne quello della riconoscenza verso il mio amico, mentre lui non aveva esitato un attimo nell’offrirmi la sua fiaschetta di rhum. Era poca cosa, ma anche tutto quello che aveva. E se n’era privato per darlo a me. Uno sconosciuto che riaccendendo per pochi attimi la luce su di lui, lo aveva reso visibile e fatto sentire ancora vivo.
Il ricordo di quella sera mi rimase appiccicato addosso come un francobollo e dopo qualche giorno mi sentivo ancora in colpa.
Decisi di andare a comprare una bottiglia di rhum con l’intenzione di rimediare e ricambiare il suo dono. Lo cercai lì dove lo avevo incontrato, guardai in ogni angolo, ma trovai solo i fogli di cartone. Di lui nemmeno l’ombra.
Dopo quel breve bagliore di luce, era tornato ad essere l’uomo invisibile di sempre.
Antonello Bombagi ©