Con la Costituzione si garantisce ai Sardi, pari diritti e dignità. Con l’attività di governo, la si ignora e la si calpesta da decenni. Ora ci chiedono se siamo favorevoli ad una sua parziale modifica.
La prima volta in cui misi piede a Tonara, fu verso la fine degli anni ’80. Facevo il rappresentante e ci andai alla ricerca di qualche cliente. Non ne trovai e, paradossalmente, ne fui contento. Almeno, pensai, non avrei più avuto motivo di tornare in quel paese così distante e isolato dal resto del mondo. Isolamento che si protraeva de secoli; non per scelta propria, ma per condizione geografica e completo disinteresse delle amministrazioni centrali.
Un paio di mesi dopo quella mia visita, il 9/11/1989, cadeva il muro di Berlino decretando la fine di un epoca e dando il via a quella serie di eventi e trasformazioni che ancora oggi stiamo osservando. Da allora, molto è cambiato. In tutto il mondo e in ogni campo delle attività umane. Basti pensare che allora, in Italia, eravamo ancora nella cosiddetta “Prima Repubblica”; per telefonare da fuori casa, usavamo il telefono pubblico a gettone e la musica, la ascoltavamo con il “walkman”.
Qualche settimana fa, ci sono tornato. Dopo quasi trent’anni da quella prima volta. E in un mondo che si è evoluto, globalizzato, modernizzato e interconnesso, ho trovato un paese incredibilmente uguale a prima. Con i medesimi problemi, le stesse strade d’accesso al paese e l’identico isolamento di allora. Ma anche, per mia fortuna, con lo stesso buonissimo torrone. Ne volevo comprare un po’. E per questo mi sono spinto fin lassù. Perchè in questo cucuzzolo di montagna, si può trovare ancora quello fatto in modo artigianale; così come si faceva cento o duecento anni fa.
L’ho trovato in un piccolo torronificio a conduzione familiare, gestito da una coppia di splendidi ultraottantenni. Dritti e fieri. Dove, tuttavia, insieme a tanta “dolce bontà”, mi è dispiaciuto riscontrare, nelle loro parole, una sfiduciata e paradossale amarezza. Un malessere autentico, spontaneo. Affiorato in modo del tutto naturale, come punta di un iceberg, in una conversazione amichevole e cordiale tra persone che non si erano mai viste prima di allora.
“Tonara potrebbe essere un fiore – mi dice sconsolata la signora, mentre avvolge con cura il pacchetto di torrone e scuote la testa – Qui si vive bene, c’è aria buona e cibo genuino. Ma siamo abbandonati da tutti. Dalla Regione e dallo Stato. Nessuno si interessa a noi – aggiunge, col suo sorriso gentile – Eppure, basterebbe raddrizzare un po’ di curve… Diamine! Non chiediamo mica le autostrade… – sbotta, porgendomi però con estremo garbo quella prelibatezza di mandorle e miele – Qui, in paese, abbiamo venduto le case a qualche Cagliaritano che si è innamorato di questa pace, ma quando ci vengono qui? Solo al pensiero di fare quella strada, si sentono già male”.
E con queste sue parole ancora nelle orecchie, dopo aver salutato, mi ritrovo fuori dalla porta, col prezioso pacchetto in mano a scuotere anch’io la testa. Dispiaciuto e amareggiato. Come capita sempre più spesso, di questi tempi. Un po’ a tutti. Da Alghero al Sulcis, da La Maddalena, alla Barbagia; non c’è comunità che non si senta tradita, abbandonata, dimenticata. Dai pastori agli operatori turistici, dagli imprenditori agli artigiani; non c’è categoria che non faccia sentire forte e fiero il proprio urlo di dolore e rabbia, per una situazione diventata ormai insostenibile.
Il sorriso gentile di quella signora, mi è rimasto nel cuore. Ma la sua amarezza è diventata la mia amarezza. Un’amarezza, diventata indignazione, dopo aver letto, oggi, su “Il sole 24 ore” che nei prossimi mesi, saranno avviati i lavori per la realizzazione di quattro nuove tratte ferroviarie ad alta velocità. Valore complessivo delle opere: circa nove miliardi di euro. Di questi, ben seimilaseicento milioni, la maggior parte, distribuiti tra Brescia, Verona e Padova. Il resto in altre zone d’Italia. Sardegna esclusa, ovviamente.
Una indignazione che diventa subito rabbia, al pensiero che quella appena letta è una notizia come tante altre. Di quelle che se ne leggono ogni giorno e che raccontano di nuove autostrade, nuovi ponti, nuove ferrovie. Ma che riguardano sempre altri territori e quasi mai il nostro. E così, giorno dopo giorno, viviamo il nostro singolare paradosso. In un mondo profondamente cambiato, diventato più piccolo e più vicino grazie a internet e alla tecnologia, ci ritroviamo iper-connessi, ma con la nostra solitudine. Scoprendoci, al contrario, sempre più distanti e diversi dal resto dell’Italia e del mondo.
Nessuna continuità territoriale con il resto della Penisola. Nessun collegamento interno, stradale o ferroviario, degno di questo nome e riconducibile all’epoca moderna. Ospedali che smobilitano, scuole che chiudono. Un intero popolo condannato all’isolamento e a una fatica doppia; a volte tripla. Quella che compie ogni Sardo che vuole conoscere, evolversi e confrontarsi col mondo oltremare.
Ed è in questo contesto, dopo aver ignorato e calpestato ogni giorno per decenni quella parte di Costituzione che dovrebbe garantirci pari diritti e dignità con tutti, che ora vengono a chiederci, se siamo favorevoli o no, ad una sua parziale modifica; seppure, per argomenti diversi da quelli ora citati. Non me ne voglia il Presidente Renzi, né il suo entourage, ma questa domanda è veramente irricevibile. Non so voi, ma io sinceramente, da Sardo, mi sento un po’ preso per il cu… cuzzolo.
Alghero Eco – 22 Novembre 2016
Antonello Bombagi © Tutti i diritti riservati