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Un ultimo sguardo verso la luce (*)

Per Francesco quella fu una giornata molto impegnativa. 

Si sedette ad un angolo del tavolo da cucina e, come una batteria che ha ormai rilasciato tutta l’energia a disposizione, si sentì improvvisamente esausto. Accavallò le gambe per cercare una posizione di riposo e, dopo aver puntato un gomito sul bordo della tavola, poggiò la testa sulla mano. 

Un virus intestinale si era diffuso tra i bambini della missione italiana a Fianarantsoa causando febbri e dissenterie. E lui l’aveva trascorsa a visitarli e coccolarli, nel tentativo di far tornare il sorriso sui loro volti. In compagnia di suor Adelina, della giovane suor Gisella, e di Adriana, per tutto il giorno aveva distribuito antipiretici e carezze, rigeneratori di flora batterica e storielle divertenti, preoccupandosi di farli bere in abbondanza e ritornare sereni. Uno per uno. 

Si rese conto solo allora che in quella lunga giornata non aveva nemmeno trovato il tempo per pranzare. Eppure non sentiva fame, solo un grande arsura alla gola e il desiderio di un po’ di pace. 

Nel silenzio della sera, dopo aver appena sollevato la testa, allungò il braccio verso la bottiglia e tracannò due bicchieri d’acqua, uno dopo l’altro. Ma dopo la sete, anche quella fugace sensazione di benessere se ne andò via, rotta da un vociare crescente che proveniva da lontano. 

Le urla di disperazione di qualcuno che correva lo raggiunsero in pochi attimi.

«Docteur! Docteur!»

Prima ancora che potesse alzarsi e guardare dalla finestra cosa stesse accadendo, una mano prese a battere forte e ripetutamente sulla porta in legno. 

Continuava ad invocare «Docteur! Bientôt, ouvrez!».  

In un balzo Francesco si presentò sull’uscio e con la borsa già in mano, pur stremato, si unì ai tre ragazzini che, correndo a perdifiato, lo avevano raggiunto per invertire la marcia un attimo dopo.

«Dove? Où?» Aveva chiesto, mentre si affannava nel cercare di seguirli.

«La chapel, docteur. A la chapel!» Gli risposero all’unisono i tre. E mentre li vedeva allontanarsi davanti a sé con le gambe sottili e veloci, uno strano presentimento iniziò a farsi strada dentro di lui. 

Qualche goccia di pioggia precedette solo di pochi istanti il bagliore d’un lampo, a cui seguì presto il fragore roboante di un tuono. 

Nel sopraggiungere sul posto Francesco vide che davanti all’uscio della piccola cappella si erano già radunate alcune persone. Erano tenute a bada da frate Aurelio, un giovane missionario che da qualche anno, più di altri, aiutava Giacomo in quell’impresa d’amore. 

Subito dopo averlo fatto entrare accostò dietro di se le due ante di legno, lasciando che gli altri aspettassero fuori. E le sue mani, che con riverenza avevano appena sfiorato le maniglie del portone, si rifugiarono fra i capelli, in segno evidente di impotenza e sconforto.

Francesco si ritrovò avvolto dalla penombra, immerso nel silenzio profondo di una sala piccina e rischiarata soltanto dalla luce tremula delle candele. Ma anche nell’oscurità di quella serata, ebbe chiara la visione di quanto fosse ormai inutile la sua presenza. 

Superò i cinque banchi di legno posti sui due lati tra le pareti di trachite rossa e arrivò dinanzi al piccolo altare. Vi si accedeva da un unico gradino in pietra su cui, nella parte centrale, era sistemata una passatoia rossa. Poco più indietro, sulla destra, la croce con la statua lignea del Cristo campeggiava su tutto. 

Davanti a quella figura, Padre Giacomo era solito soffermarsi in preghiera tutte le mattine. Talvolta anche la sera. Si metteva in ginocchio, proprio là dove lo scalino era rivestito da quel tappeto rosso, sul bordo del piccolo altare. Dove lo aveva trovato Suor Anna, che ora se ne stava in un angolo in disparte, a pregare. Quasi si sentisse responsabile di ciò che era accaduto. 

La sagoma esile di quell’uomo, riversa per terra, era straziante e commovente allo stesso tempo. 

Dopo essersi inginocchiato su quel basamento, si era accasciato su se stesso fino a cadere al suolo, ma con una mano tesa verso la Croce. Quasi a voler afferrare quella del Signore o forse a voler riconsegnare la propria anima nelle sue mani. 

La testa era poggiata su un lato e gli occhi ormai vitrei, anch’essi in direzione del Crocifisso, erano aperti ma fissi. In un ultimo sguardo d’estasi verso la luce.

Antonello Bombagi ©

(*) Inedito tratto dalle parti tagliate de “Il cappello dello sciamano

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