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Un abbraccio nel silenzio della notte

Nel silenzio della sera, le farfalline svolazzavano intorno ai globi luminosi e sembravano danzare al loro passaggio.

Era buio, ma le luci giallognole che addolcivano le tenebre lungo il vialetto di terra rossa, si riflettevano negli occhi lucidi di Vincenzo, spiegando più di mille parole il suo reale stato d’animo.

La gioia e lo sconforto si abbracciavano in silenzio dentro di lui. Era felice di averlo ritrovato, di essere al suo fianco, di sorreggerlo nel suo camminare diventato incerto, ma allo stesso tempo, sconvolto per averlo trovato così invecchiato.

La stanchezza dovuta al lungo viaggio non lo preoccupava più. Sembrava essersi dissolta in un solo attimo sostituita da un’emozione intensa. Sapeva che lui con poche parole avrebbe potuto rispondere a tutti i dubbi di una vita. In egual misura però, aveva paura del giudizio più intimo, quello non espresso con la voce, ma serbato nel cuore.

Temeva di averlo deluso profondamente per com’era andata la sua vita e questo lo inibiva, rendendolo taciturno e pensieroso.

Avrebbe voluto parlargli per giorni interi, avere notizie di persone abbandonate troppo presto, spiegargli il perché di alcune scelte, ma le parole gli si congelavano in bocca.

Fu Barore a dover rompere il ghiaccio, ponendo fine ad un silenzio che rischiava di diventare imbarazzante. Uno stato di quiete incrinato fino ad allora soltanto dal suo affanno e dall’incedere lento dei passi sullo sterrato.

«Volevi raccontarmi un sacco di cose, ma invece mi sembri taciturno. Come stai figliolo?» Chiese il vecchio con un sussurro di voce. «Di me, già lo vedi. A gennaio se Dio vorrà, saranno novantaquattro. Inizio ad essere vecchio».

«Oh, per favore! Non dire che sei vecchio. Te la cavi ancora bene, a quanto vedo». Lo incoraggiò, sorreggendolo sempre per un braccio. «Senti, a proposito!» Lo interruppe, cambiando completamente argomento «Hai ancora notizie di Mauro? Pensi che lo potrò vedere ?»

Mauro era morto. Come Bobo, Gavino, Checco, e gli altri erano andati via alla ricerca della loro strada, sia gli uomini che le donne, così come era stato per lui.

Barore gli raccontò le storie e i percorsi di ciascuno. Nessuno dei suoi amici del tempo, era ancora lì. Piano piano il paese si era svuotato e soltanto Cristina era rimasta ad occuparsi degli anziani del posto. Ogni giorno andava di casa in casa, chiedendo e portando quello che serviva loro.

Camminavano adagio. L’anziano allevatore ogni poche decine di metri aveva necessità di fermarsi per prendere fiato e lungo il viale gli alberi avevano preso il posto delle case basse. Se le avevano lasciate alle spalle e ora, svoltando in una stradina laterale, iniziavano a costeggiare il caseggiato ormai vuoto della caserma dei carabinieri.

«Ma tu, dimmi di te. Come stai? Non me lo vuoi proprio dire?»

Esitò un attimo, prima di rispondere. Sapeva che questa volta non avrebbe potuto sfuggire o cambiare discorso come in precedenza.

«Ora sto meglio» Rispose diplomaticamente mentre con occhi bassi, cercava di prendere coraggio.

«Mi dici la verità?»

«E come potrei mentirti? Lo capiresti ancor prima di finire di parlare». Gli disse, guardandosi ancora la punta delle scarpe. «Si, ora sto davvero meglio. Da quando sono a Firenze, in un anno Francesco mi ha riportato ad una vita normale. Mi è stato molto vicino, mi ha aiutato in ogni cosa. Te lo dissi, ricordi?» Gli chiese, rialzando la testa per riscontrare un suo cenno di assenso.

«E col lavoro come va?»

«Per adesso bene, anche se fare il magazziniere non è mai stata la mia aspirazione più grande».

«Non importa» lo rassicurò «hai ancora tanto tempo, davanti a te, e chissà quante altre opportunità di cambiare e migliorare»

«Si infatti. É quello che ho pensato anch’io. L’ambiente è comunque stimolante. In più mi permette di imparare e chissà, magari un domani potrei aprire un mio piccolo deposito per la logistica…».

«Bravo. Mi fa piacere sentirti parlare così. E per il resto?».

«Sul resto, non c’è molto da dire» Rispose laconico

«Lavori e basta?» Chiese, tossendo debolmente.

«No, certo che no! Anzi, rispetto a prima, lavoro anche poco. In questo momento, però, è tutto abbastanza piatto e monotono» Rilevò, prendendo a stropicciarsi il lobo dell’orecchio. «Disegno, faccio qualche foto, sto anche imparando a pescare con la canna, ma ormai faccio tutto senza entusiasmo. Mi sembra di fare le cose, così, tanto per riempire i vuoti delle giornate» Aggiunse, con un’alzata di spalle, guardandosi intorno.

Il sentiero saliva leggermente verso un piccolo ponte di legno. Sotto vi scorreva un canale dove gracidavano le rane. Sentiva il vecchio stantuffare affannato e il puntale del bastone, sul tavolato di legno, che bussava ritmicamente.

«Hai mai pensato di risposarti?» Gli chiese, cogliendolo di sorpresa e fermandosi per una nuova sosta.

«Per carità, no! Non ci penso proprio».

«Perché no? Invece dovresti» Suggerì, riprendendo il fiato.

«Dici? Non lo so» Sospirò, alzando nuovamente le spalle «La verità è che in Olanda, con Uthe, ho sofferto talmente tanto che ora non ci riesco più…» gli disse, lasciando per un attimo il suo braccio e appoggiandosi alla ringhiera di legno per guardare di sotto «non ti so spiegare, ma arrivato ad un certo punto mi blocco. Anzi, scappo!» Gli confessò, risollevando la testa.

«Ma quando dici rapporto, intendi rapporto intimo?»

«Oh diavolo! Ma dobbiamo parlare proprio di questo cose?» Si agitò, senza riuscire a nascondere l’imbarazzo che spingeva la sua mano ad arruffargli i capelli.

«Quindi?» Reclamò il vecchio

«Sei cocciuto come un mulo!». Lo accusò affettuosamente, riprendendolo sotto braccio per superare il ponte e avviarsi nella leggera discesa. «Il problema è che se per caso trovo una che mi andrebbe… beh, fino che parliamo va tutto bene. Possiamo andare al cinema, mangiare qualcosa insieme, ma quando poi mi accorgo che lei si spinge troppo avanti, io mi blocco e… »

«E?»

«Non lo so! Te l’ho già detto. Mi irrigidisco, scappo! Che ti devo dire?»

«Capisco». Annuì il vecchio, indicandogli col bastone che ora dovevano svoltare a destra, lungo il canale. «Però, dovresti cercare di vincere questa paura, altrimenti non vivi più. Mi capisci?»

«Ma non so se è proprio paura»

«O si che lo è. Ma è anche normale averla, dopo una esperienza come la tua. Però…»

«Però cosa? Che vuoi dire?» Lo incalzò curioso

«É tardi… siamo stanchi tutti e due, ma ricorda che la paura deve essere tua amica. Non ti deve impedire di fare le cose; semmai ti deve aiutare a farle con più attenzione e prudenza».

«E già! Facile a dirsi. Ma come si fa?»

«Col coraggio. L’una non può fare a mano dell’altro e viceversa. La paura senza il coraggio, ti riduce all’impotenza. Ma il coraggio senza la paura, ti spinge all’incoscienza».

«Eh! Detto così sembra tutto molto semplice. Ma poi…»

«Fidati di un vecchio. É più facile di quanto non sembri. Tu il coraggio ce l’hai e ne hai da vendere. Lo hai sempre dimostrato. Ti sei dimenticato che sei andato via quando avevi appena diciott’anni? Da solo, in un mondo che non conoscevi e a migliaia di chilometri da casa tua, non dietro l’angolo. Beh, allora usalo!» Lo spronava. «Quando sai che una cosa va fatta, falla e basta! Non farti dominare dalla paura» Gli ripeté ancora «Se vuoi che la vita ti abbracci, devi essere disposto ad abbracciarla tu per primo. Mi capisci?»

«Non sono sicuro. Spero di si» Ammise con franchezza, continuando a stropicciarsi il lobo dell’orecchio. Il vecchio parlava piano e per non perdere le sue parole, doveva compiere uno sforzo di concentrazione notevole.

Una raganella, lo fece sobbalzare, spiccando un salto proprio davanti ai suoi piedi, per rituffarsi nel canale.

«Devi solo lasciarti andare e prendere la vita per ciò che ti offre, senza pretendere di selezionare» Proseguì Barore. «Se chiudi la porta, per evitare le cose brutte, non potranno entrare nemmeno le belle». Concluse, cercando di ruotare il collo per regalargli un sorriso.

«Ssht! Hai sentito?» Si allarmò nuovamente Vincenzo, bloccandosi sul posto.

«No, che c’è?»

«Ho avuto come la sensazione che qualcuno ci stia seguendo» Bisbigliò sottovoce.

«Può darsi. Ma non preoccuparti, sono i cinghiali. Ce ne sono sempre di più, stanno con noi da tanti anni ormai. Non farci caso». Lo tranquillizzò, trasferendo lo sguardo verso gli alberi che di tanto in tanto bordeggiavano il canale.

Per un attimo rimasero in silenzio, accompagnati dal frusciare delle foglie spostate dalle bestie, e dal gracidare delle rane. Poi ripresero il cammino e il rumore dei passi strascicati di Giacomo sul brecciolino rosso, si sovrappose al resto.

«Comunque, sono contento di essere qui» Riprese a parlare Vincenzo, stringendogli forte il braccio. «Sono sicuro che stare un po’ di tempo con voi qui in paese mi farà bene»

«Certo, ne sono sicuro. Qui sei a casa tua».

«Lo so, grazie, ma c’è voluto del tempo, prima che ritrovassi le forze per rimettermi in piedi. Comunque credo che il peggio sia passato» Continuò a confidargli. «Solo che ora mi sento come un pugile suonato. Uno che ha ricevuto il colpo del ko, senza sapere da quale parte gli è arrivato». Ribadì, sospirando e scuotendo la testa.

«Non serve a nulla che ti rammarichi così» Lo ammonì, approfittando per fermarsi ancora a prendere fiato, mentre le stelle sopra di loro brillavano in silenzio. «Può anche darsi che tu abbia perso molte cose, ma devi imparare a ricordare che hai sempre te stesso. Questa è la cosa più importante. Ed è anche l’unica che nessuno potrà mai portarti via». Gli spiegò, rimanendo poi ad osservarlo dondolare la testa e arricciare le labbra per portarle verso il naso. «A volte, solo perdendo tutto, possiamo ritrovare noi stessi» Riprese a dirgli paternamente.

«Mah! Sarà come dici tu. Va bene! Ho sempre me stesso, ok! Ma dove ho sbagliato? É questo che non capisco».

«Non devi fartene un cruccio. Dammi retta, a volte le cose accadono, accadono e basta. E non serve a molto cercare l’errore a tutti i costi».

Ripresero il cammino e Vincenzo rimase in silenzio. Ammutolito e a capo chino meditava su tutte quelle cose. Continuava a sostenerlo per il braccio, mentre percorrevano l’ultimo tratto di strada che li separava dal portone di casa.

Dopo averlo raggiunto si fermarono per accomiatarsi. Barore cercò nuovamente di drizzare il collo ed alzare la testa. Ma ci riuscì soltanto a metà e per guardarlo negli occhi, dovette suo malgrado inarcare le sopracciglia

«Mio caro, sei partito da qui con l’idea e l’ambizione di essere qualcuno», gli disse con un filo di voce, dopo quella lunga pausa «ma una volta lì, forse ti sei preoccupato più di avere qualcosa, piuttosto che di esserlo. Ma ora, non temere. Dio ti benedice figliolo e ti darà presto una nuova possibilità»

Strinse con la poca forza che gli rimaneva la mano di Vincenzo, avvicinandolo a se. Lui si accostò e lo circondò con le sue grandi braccia. Pur non comprendendo tutte le sue parole, aveva capito che il vecchio padre era ancora dalla sua parte. Non era né deluso, né adirato. E questa consapevolezza, lo riempiva di gioia.

Lo abbracciò dolcemente, tenendo la testa alta, per evitare che una lacrima silenziosa, rigandogli il volto, potesse scivolare fin sopra quell’uomo minuto dal cuore grande.

«Grazie Barò». Riuscì a dire piano «Che Dio ti benedica. A domani, buonanotte»

«Non entri?»

«Faccio ancora due passi…»

«Va in pace». Si guardarono in silenzio ancora per qualche secondo, poi lui si voltò e uno per volta salì i due gradini che stavano davanti al portone, richiudendolo dietro di se.

Vincenzo rimase lì, fermo; senza più parole, né pensieri, né lacrime.

Sentiva solo un grande senso di pace, nel silenzio della notte.

 

 

Antonello Bombagi © Tutti i diritti riservati

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