Paradiso sfumato o Inferno scampato? Storie di Sardegna fa tappa ad Ottana nel giorno delle Cortes Apertas, ma la risposta è tutt’altro che scontata
L’autunno di barbagia è occasione d’incontro, conoscenza, e confronto di lingue e culture diverse, anche all’interno della stessa nostra isola. Un punto di vista privilegiato che permette l’osservazione e la non facile comprensione delle varie comunità isolane.
Ad Ottana abbiamo avvicinato una comunità ancora in fase di metabolizzazione sugli effetti complessivi prodotti dal folle disegno di industrializzazione. Alcuni faticano ad accettare il triste epilogo, altri invece criticano apertamente le scelte compiute agli inizi degli anni ’70.
No pastori, no banditi
L’ipotesi elaborata dalla classe politica del tempo fu che in quella economia agropastorale, gli unici occupati fossero i pastori. Gli stessi che all’occasione si trasformavano in banditi. E basandosi su quell’assunto, l’equazione che ne venne fuori, risultò essere: no pastori, no banditi.
In una bellissima raccolta degli articoli scritti da Pino Careddu per il suo “Sassari Sera”, a cura di Gibi Puggioni, si può leggere che «una indagine parlamentare individuava nella mancanza di lavoro la spinta più forte a delinquere. Una tesi che agevolò chi spingeva perché l’industria si insediasse ad Ottana. Le assunzioni avrebbero garantito una gestione clientelare del potere soprattutto alla Democrazia Cristiana»
L’analisi, frettolosa e superficiale, non teneva conto di molte cose. Lo stesso Raffaele Girotti, fresco successore di Cefis alla presidenza Eni, subito dopo essersi insediato, affermava che «nell’assenza di una tradizione industriale, con le difficoltà delle comunicazioni, la carenza di infrastrutture fondamentali, i gravissimi effetti delle emigrazioni, l’assenza dei servizi urbani…//…la realizzazione di un complesso di impianti industriali, per quanto importante, non è da sola sufficiente ad assicurare lo sviluppo economico e civile dell’intera zona»
Ottana, 50 anni dopo
Oggi, a distanza di quasi 50 anni, gli Ottanesi sono ancora divisi e confusi nella valutazione storica di quella che dai più è stata definita una sciagurata follia. L’insediamento del polo petrolchimico che con una mano li ha sottratti alla povertà, con l’altra li ha spinti verso il baratro presentandole un conto da pagare altissimo. Malattie indotte, abbandono delle tradizioni agropastorali, disgregazione sociale. E la gratitudine si mescola alla rabbia verso chi prima li ha sedotti, mostrando loro il Paradiso, e poi li ha abbandonati, scaricandoli all’inferno.
Eppure, qualcosa si muove. Il ritorno alle tradizioni, facilita una nuova coesione sociale. E qualcuno comincia a capire che tutto questo poteva essere evitato; i miliardi della “rinascita”, impiegati in maniera più intelligente e produttiva. Per esempio, a sfruttare le risorse offerte dal territorio.
Oggi una buona parte della famiglie vive con la pensione di familiari ex-enichem. Quando gli ultimi di costoro saranno passati a miglior vita, lo spettro della povertà, si affaccerà nuovamente sulla porta di casa. I giovani devono far presto. Hanno poco tempo per studiare e capire dove si debba andare. Quale dovrà essere la direzione per il futuro.
A volte le cose ci appaiono per come sembrano e non per quello che sono. Ed anche ciò che sembra il Paradiso, ad un esame più approfondito, può rivelarsi un inferno; da scansare con un passo indietro
Antonello Bombagi ©