C’era un tempo in cui la festa del primo maggio aveva un senso diverso da quello odierno. In quell’epoca i beni di consumo erano per lo più “materiali” e la società si divideva fra chi li produceva e chi invece li consumava. Da una parte quindi imprenditori di tipo industriale che per diventare tali dovevano superare “barriere d’ingresso” elevate; dall’altra la classe operaia, qualche sparuto impiegato, pochi commercianti, e rari liberi professionisti.
Erano gli anni successivi alla rivoluzione industriale. In Italia a seguito di questo modello economico accadeva che i prodotti artigianali, in cui eravamo maestri, non riuscivano più a competere sul mercato. Il risultato di allora fu la moria di molti posti di lavoro e disoccupazione di massa che le nuove industrie seppero assorbire solo in parte.
Sempre in quegli anni, durante il secondo congresso della Associazione Internazionale dei lavoratori tenutosi a Parigi, nasceva l’idea di dedicare una giornata di festa al lavoro, per come si intendeva in quel momento storico. Lo spunto venne da uno sciopero generale indetto negli Stati Uniti per il primo maggio. Una manifestazione che nasceva per protestare contro le condizioni di lavoro proibitive del tempo e ottenere la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore. E che tuttavia, seppur iniziata pacificamente, crebbe d’intensità fino ad avere un tragico epilogo col massacro di Haymarket. Evento che da allora è divenuto emblema delle lotte operaie, per via delle 11 persone morte negli scontri.
Questa è la storia con cui dobbiamo confrontarci, ma purtroppo o per fortuna riguarda il passato. Ed ecco perché la festa del primo maggio per come è ancora rappresentata oggi, appare sempre più anacronistica: il mondo è cambiato e il mondo del lavoro con esso. A differenza di ieri, le barriere all’ingresso nel mondo dell’imprenditoria in alcuni settori sono prossime allo zero. I beni di consumo si sono in parte “dematerializzati” e al fianco dei prodotti industriali troviamo migliaia di prodotti immateriali.
I modelli economici si sono evoluti e continuano a trasformarsi. Oggi parlare di “festa del primo maggio = festa del lavoro” ha senso se intendiamo raccoglierci intorno a chi davvero ha bisogno di essere tutelato. E scusatemi se per un giorno fra questi non metterò chi gode di un regolare contratto. Come la classe impiegatizia, gli insegnanti, i dirigenti, i forestali, le forze dell’ordine, solo per fare degli esempi. E nemmeno includerò i sanitari e la classe medica, come sarebbe facile e retorico in questo periodo.
C’è un esercito di disperati di cui nessuno parla, ma le cui fila s’ingrossano a dismisura. Lo chiamano il popolo delle “partite iva” e mai termine fu più appropriato per descrivere una moltitudine di persone di diversa estrazione sociale, etnia, religione, cultura, fede politica, e professione. Non hanno la tuta da operaio, ma la camicia, e spesso indossano anche la cravatta. Fanno di tutto, compreso quello che non ci aspetteremmo mai ed erano già tanti ancor prima che arrivasse la pandemia.
È facile immaginarsi in quest vesti il piccolo commerciante, l’artigiano, l’agente di commercio, il trasportatore, o magari il libero professionista alle prime armi; molto meno i giornalisti 2.0, i reporter, fotografi, consulenti, padroncini, riders, e quelle migliaia di erogatori di servizi in genere. Questi ultimi tante volte sono lavoratori di aziende “aguzzine” che gli fanno condividere l’ufficio con altri dipendenti regolarmente contrattualizzati. E loro si presentano puntuali ogni mattina come gli altri, ma a fine mese per essere pagati devono emettere fattura. Altri ancora, si trovano in un quell’area grigia e indefinita della precarietà. Tutti quanti insieme però, non vedranno mai un giorno di malattia, ferie pagate, permessi di maternità, licenza matrimoniale. Guadagnano poco, soffrono molto. Soprattutto in questi giorni difficili.
Conosco bene questo mondo e con le storie vissute da tanti amici e colleghi potrei scrivere decine di romanzi. Ecco! Se proprio non ne potete fare a meno e volete celebrare la festa del primo maggio ad ogni costo, vi chiedo di farlo per questa gente. Per la loro battaglia quotidiana contro il nuovo “padrone delle ferriere” che li sfrutta, li spreme, li umilia. E quel che è peggio è che il più delle volte a farlo è proprio colui che dovrebbe tutelarli: lo stato. Allora facciamo tutti insieme uno sforzo d’empatia, immaginiamo per un attimo le loro vite, quelle giornate fatte di sacrifici silenziosi e solitari, di coraggio, perseveranza, inventiva, ma anche di pianti, sconfitte, fallimenti, rinascite. E di infiniti domani che… “non sai cosa t’aspetta”.
Buon 1 maggio, amici
Antonello Bombagi ©