“La Sardegna sarà la Cuba del Mediterraneo”
Il sogno sardo di GianGiacomo Feltrinelli non fu casuale ed ebbe origini lontane.
La prima volta che andò a Cuba era il 1964.
Durante il viaggio nell’isola caraibica ebbe modo di conoscere personalmente il “lider maximo”. Da allora rimase in stretto contatto con lui fino al triste epilogo della sua esistenza.
Tre anni dopo si recò in Bolivia per incontrare un giornalista francese che aveva seguito il “Che” nelle azioni di guerriglia. Si trattava di Régis Debray.
In quel momento la casa editrice che portava il suo nome aveva alle spalle già tredici anni di successi. E questo fatto, oltre ai suoi studi e la profonda ammirazione per il personaggio, convinsero lo stesso Fidel ad affidargli la pubblicazione de “il diario di Bolivia di Ernesto Che Guevara”.
Il sogno sardo di Feltrinelli comincia a prendere forma
Dopo questi fatti qualcosa scattò nella sua testa. E così il sogno sardo di GianGiacomo Feltrinelli iniziò a prendere forma sulla base di alcuni singolari parallelismi. Da una parte un’isola come Cuba e le gesta del “Che”, dall’altra la Sardegna e le scorribande di “Grazianeddu”.
L’evasione dal carcere di San Sebastiano e la battaglia di Osposidda avevano contribuito a far entrare il bandito sardo nelle fantasie popolari e quelle di Feltrinelli.
In breve quel sogno sfociò in un obiettivo politico che diventò evidente: poter replicare nel centro del Mediterraneo ciò che era successo nel mar dei Caraibi nemmeno dieci anni prima.
Nel 1959, i rivoluzionari comunisti avevano preso il potere a Cuba rovesciando il dittatore Fulgencio Batista. E con quell’azione fecero dell’isola caraibica uno stato comunista a pochi chilometri di distanza dagli Stati Uniti.
Il ruolo di Mesina
In Sardegna il sentimento indipendentista è sempre stato ben radicato. In quegli anni in particolare erano presenti forti elementi di dissenso contro la presenza dei militari nell’isola. Questi erano sfociati nel 1969 nella grande rivolta degli orgolesi a Pratobello (leggi).
Una condizione favorita dal moltiplicarsi delle servitù militari nell’isola. Non ultima, la presenza di forze speciali militarizzate con il compito di combattere il banditismo.
E fu proprio negli ambienti del banditismo che GianGiacomo Feltrinelli individuò in Graziano Mesina il Che Guevara sardo. Tanto che nel 1968 con quel sogno in testa, entrò in contatto con un gruppo di attivisti sardi. L’obiettivo era quello di arrivare proprio alla “primula rossa” del banditismo sardo.
Lo avrebbe voluto a capo di un gruppo armato rivoluzionario per la liberazione della Sardegna. E in un primo momento pare che Grazianeddu rimase affascinato dal personaggio e dalla proposta. Ma poi all’ultimo momento declinò l’invito.
Nessuno sa che cosa gli abbia fatto cambiare idea, anche se alcune fonti indicano come decisivo l’intervento di Massimo Pugliese del S.I.D. (Servizio Informazioni Difesa). Fatto sta che il sogno sardo di GianGiacomo Feltrinelli rimase irrealizzato.
La morte in circostanze oscure
Il 14 marzo del ’72 venne trovato morto a Segrate in circostanze che ancora oggi rimangono avvolte dal mistero. Il suo corpo dilaniato dall’esplosione di una bomba era nei pressi di un traliccio dell’alta tensione. E i motivi, a quanto è dato sapere, non erano certo da ricercare in quel suo sogno di liberazione della Sardegna.
All’epoca Scalfari e la Cederna parlarono chiaramente di omicidio. C’è chi invece scomodò la CIA e chi ci vide la mano dei servizi segreti italiani. In realtà però l’inchiesta sulla sua morte smentì categoricamente ogni ipotesi di omicidio.
Da quanto emerso in seguito, pare che fu la strage di Piazza Fontana a provocare in lui un susseguirsi di timori che lo spinsero prima alla clandestinità e poi a quell’ultimo eclatante gesto.
Nella strage milanese Feltrinelli aveva creduto di vedere una nuova e precisa strategia dello stato. Le frequenti visite di organi di polizia nella sua azienda lo avevano poi portato a temere che qualcuno volesse approfittare dell’occasione per incastrarlo.
I Gruppi di Azione Partigiana (GAP)
Prima di quel tragico epilogo, Feltrinelli era entrato in clandestinità. Abbandonò il sogno di far diventare la Sardegna una Cuba del mediterraneo. E da quel momento in poi si concentrò sull’azione politica insieme ai GAP da lui fondati (Gruppi di azione partigiana).
Nell’ultimo atto fatale, pare progettasse di far saltare il traliccio per provocare un black out su Milano. Il motivo? In quel vuoto di suoni e luci un comunicato diffuso da “radio GAP” avrebbe dovuto mettere in guardia i comunisti dalla linea troppo morbida di quel periodo. Mentre in Italia tornava a correre il pericolo di una restaurazione fascista.
Renato Curcio, durante un udienza del processo che ne seguì, dichiarò che «Osvaldo (nome di battaglia di GianGiacomo Feltrinelli) non è una vittima, ma un rivoluzionario caduto combattendo».
In quegli anni le voci di un presunto golpe di restaurazione, pare circolassero con insistenza sempre maggiore. L’eco del tentato golpe Borghese era ancora fresco e i timori che qualcuno volesse riprovarci si andavano diffondendo.
Anche questi per opera dei servizi segreti.
Forse in modo da rafforzare il potere di controllo della Democrazia Cristiana e scongiurare l’avanzata del Partito Comunista?
Antonello Bombagi